Puntate sul valore di rarità
Più di un secolo di storia, dalle strutture di metallo usate per costruire il Vittoriano a Roma e il palazzo della Borsa di Wall Street a New York alle grandi operazioni di recupero e gestione di immobili di prestigio, come la Galleria Colonna a Roma, ma passando anche per Londra, New York, Parigi. Sorgente Group è tutto questo, mattone ma anche finanza. Dal 2001 a oggi ha lanciato 34 fondi, che assieme alle 70 società immobiliari, finanziarie e di servizio controllano un patrimonio posseduto e gestito di oltre 5 miliardi di euro. Ecco perché Valter Mainetti, amministratore delegato e principale azionista di Sorgente, è la persona giusta per capire come mai il mondo immobiliare non abbia ancora sfondato a Piazza Affari. «Noi alla Borsa ci abbiamo sempre creduto», racconta seduto nel suo studio che si affaccia su Via del Tritone, dal settimo piano di uno splendido palazzo liberty, uno dei trophy building, su cui investe. «Abbiamo creato decine di fondi in Italia e all’estero e intorno al 2000, come tutti, eravamo convinti che finalmente il mercato sarebbe decollato anche da noi. Quotazioni, Siiq, investimenti… Pensavamo che l’importante fosse cambiare le regole antiquate che soffocavano le potenzialità dei fondi quotati. Credevamo che la chiave fosse una buona legge in materia. La si è fatta, e la raccolta, faticosamente, è partita. Abbiamo raggiunto gli obiettivi, poi però, nel 2008, per le ragioni che sono chiare a tutti, ci fu la gelata. Il mercato si è bloccato e alla fine chi aveva comprato quote di quei fondi se ne è disfatto a prezzi veramente bassi.
Risposta. Principalmente. Anche se un contribuito alle difficoltà del settore lo ha dato anche la politica dell’allora ministro delle Finanze, Giulio Tremonti, che per colpire quanti erano ricorsi ai fondi per pagare meno tasse sul proprio patrimonio immobiliare personale, varò misure, in gran parte retroattive, che finirono per penalizzare tutti: buoni e cattivi
R. Noi ci abbiamo creduto sul serio. Abbiamo avviato l’ipo di Sorgente Res ma ci siamo dovuti fermare con la macchina già in corsa, arrendendoci alla freddezza dei grandi investitori internazionali. Sono loro che tirano il settore. Se investono, poi li seguono anche gli investitori nazionali.
R. Non abbastanza. Abbiamo raccolto 200-220 milioni, ma non erano sufficienti. Il target era di 500, la cifra necessaria a conferire un certo numero di immobili con lo sconto del 40%, che con il post money sarebbe sceso al 16%. Avendo avuto prenotazioni solo per metà del target, lo sconto per i nostri fondi conferenti sarebbe salito al 32%, il doppio. Un costo inaccettabile e quindi, nonostante avessimo speso molto, per lanciare l’ipo, abbiamo dovuto rinunciare. Però alle Siiq crediamo, tanto che abbiamo acquistato il controllo di Nova Re, quotate nel 2007, che attraverso un aumento di capitale fino a 400 milioni sarà uno dei player importanti del settore Siiq.
R. Perché non credono che a breve il mercato italiano tornerà ai livelli precedenti. Anzi, qualcuno crede che debba ancora scendere. Anche se il pessimismo riguarda soprattutto il mercato tradizionale, per gli immobili di pregio le aspettative sono diverse.
R. E’ quello che mantiene più a lungo il valore. Guardi il successo della vendita della sede storica dell’Unicredit in piazza Cordusio a Milano.
R. Non sono gli stessi investitori. Magari fanno parte della stessa banca d’affari, ma seguono logiche diverse. Sapesse quante volte c’è capitato di trovare entusiasti gli uomini di una banca e poi, salita una rampa di scale, freddissimi i loro colleghi che avrebbero dovuto strutturare una ipo. Chi si occupa di ipo pensa solo a un ritorno dell’investimento il più ravvicinato possibile. Ma questi non sono i tempi del mercato immobiliare. Loro chiedono rendimenti a due cifre e noi proponiamo il 5-6%, che non è poco.
R. Il denaro costava, ma c’era anche tanta inflazione, che da una parte spingeva a investire i soldi in qualcosa che avrebbe mantenuto il valore negli anni, dall’altra alimentava la convinzione che con gli anni il debito sottoscritto si sarebbe svalutato. E poi c’era fiducia nel futuro. Oggi no.
R. Infatti le case si vendono, ma non quante servirebbe. Vanno i tagli piccoli e fuori dai centri cittadini. Guardi come è difficile vendere a Milano le nuovi torri. I 10 mila euro metro quadro spaventano gli acquirenti.
R. La finanza immobiliare non riguarda slo abitazioni. Prenda gli istituti di previdenza. Hanno investito molto in immobili per uso abitativo, forse troppo. Ma non è che oggi possono fermare gli investimenti, ecco perché ora pensano di investire, tramite fondi immobiliari, sulle infrastrutture. Opere di cui il Paese ha bisogno e che garantiscono rendimenti costanti: autostrade, centrali idroelettriche, acquedotti.. Sono tante le infrastrutture che devono essere costruite o rimodernate. Il mercato c’è , e noi ci stiamo già attrezzando, senza abbandonare il mercato tradizionale.
R. Sì, ed è un motivo di particolare orgoglio. Ci è stato chiesto da investitori internazionali di mettere in piedi operazioni sui loro mercati. Di solito avviene il contrario. Comunque c’è anche un altro settore che ci interessa molto.
R. Quello degli npl. Abbiamo già avviato operazioni per l’acquisto di crediti deteriorati dalle banche con sottostante immobiliare, abbiamo l’esperienza giusta per valutare al meglio gli asset e per valorizzarli nel modo migliore. Nell’ottobre 2015 abbiamo costituito il fondo Pinturicchio, primo fondo di Sorgente specializzato nell’acquisizione e nella gestione crediti ipotecari chirografi.
R. Sì, ma la colpa è dei derivati. Se non ci fossero stati quelli il mercato avrebbe sofferto, ma ce l’avrebbe fatta ad assorbire il colpo. I derivati, invece, hanno innescato una reazione a catena incontrollabile. Hanno fatto da leva al contrario